Diciannovesima tappa, duecentotrentasei chilometri da Gravellona Toce a Cervinia.
E il Giro d’Italia tira fuori dal suo cilindro un protagonista rimesso a nuovo, letteralmente rilucidato per la grande ”vetrina” di alta quota. Se ieri avevamo definito Philippe Gilbert uno “scalatorino”, non possiamo non pensare oggi a Fabio Aru come a uno “scalatorone”. Peccato, davvero peccato per le ultime tappe in cui il corridore di San Gavino Monreale è apparso un po’ appannato: certo, se sul suo cammino ci fosse stata qualche Cervinia in più, forse stasera non avrebbe dovuto rimaner pago di riprendersi il secondo posto in classifica generale. Che è comunque la dimostrazione che abbiamo a che fare con un campione vero, di grandissima prospettiva.
Alla sua terza corsa rosa, la prima da leader della sua squadra fin dal principio (il primo giro, nel 2013, lo aveva visto gregario di Nibali, il secondo, l’anno seguente, l’aveva iniziato come gregario di Scarponi, per poi essere promosso sul campo dopo il ritiro di quest’ultimo), Aru mostra già di avere la maturità necessaria per giocarsela alla pari con un campionissimo come Alberto Contador: uno che, per intenderci, aveva già conquistato due ItalGiri quando il sardo non vi si era ancora neppure affacciato (ad onor del vero va detto però che, per una storiaccia di doping, l’alloro del 2011 è stato poi revocato allo spagnolo). E con la prova stratosferica di oggi è riuscito a prendersi anche un’altra soddisfazione: mettersi alle spalle il vincitore dell’edizione del Giro che precedette il suo esordio, il canadese Ryder Hesjeadal della Garmin. Terzo Rigoberto Uran (Etixx), a conferma del fatto che la giornata è stata nel segno dei protagonisti ritrovati.
Nessuno dei tre era nel gruppo dei nove fuggitivi, scattato in testa a pochi chilometri dal primo Gran Premio della Montagna di giornata, quello di Croce Serra. Il gruppo era formato da Betancur della AG2R, che avrebbe vinto quel gpm, dal suo compagno Malaguti, da Rutkiewicz della CCC, Ulissi della Lampre, Chaves della Orica, Kochetkov della Katusha, Van der Lijke della Lotto NL, Kiryienka della Sky e infine Visconti della Movistar.
Proprio quest’ultimo ha finito per essere il maggiore animatore dell’iniziativa “avanguardista” di oggi, vincendo il traguardo volante di Fenis e poi i due gpm più importanti della tappa, quello del monte Saint Barthelemy e quello del Col Saint Pantaleon. A quel punto Visconti aveva stracciato l’intero gruppo dei fuggiaschi, ma era anche giunto al fondo delle sue energie: alle sue spalle si avvicinavano ormai i big di classifica. Quindi, è iniziato lo show del trittico da podio. Ma non c’è stata vera storia, Aru non ha concesso un secondo di tregua: e così, Sardinia über alles,giusto così.
E Contador? Si limita a controllare e soprattutto a stare incollato alla ruota di Mikel Landa, quello che riteneva, e a ragione, il suo avversario. Alla fine arriva sesto al traguardo. Ma se si chiama Contador un motivo ci sarà: e, come abbiamo avuto già avuto modo di osservare, oltre ad essere un demonio è anche un ragioniere del pedale, capace di essere implacabile nei suoi calcoli a lunga distanza così come negli scatti.
Non possiamo dimenticare che parliamo di quello stesso Contador che riuscì a far suoi il Giro d’Italia 2008 e il Tour de France 2010 senza vincere neppure una tappa. Oltre che il turbo, in quella gambe il corridore di Madrid deve anche avere un abaco incorporato.