Lega della Terra: i giovani e l’alcool

NICOLA GOZZOLI
06/04/2015
Salute e alimentazione
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Secondo i più recenti dati dell’Istat «nel 2013, il 63,9% della popolazione di 11 anni e più ha consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno. Tale quota è stabile rispetto al 2012 ma in diminuzione rispetto a 10 anni prima (68,7%). Tra il 2003 e il 2013 la percentuale dei consumatori giornalieri di bevande alcoliche scende dal 31% al 22,7%. Aumenta, invece, la quota di quanti consumano alcol occasionalmente (dal 37,6% nel 2003 al 41,2% nel 2013) e di coloro che bevono alcolici fuori dai pasti (dal 24,8% al 25,8%).

Nel 2013, il 51,6% della popolazione di 11 anni e più che ha consumato alcolici nell’anno beve vino, il 45,3% birra e il 39,9% aperitivi alcolici, amari, superalcolici o liquori. Nel complesso, i comportamenti a rischio nel consumo di alcool (consumo giornaliero non moderato, binge drinking, consumo di alcol da parte dei ragazzi di 11-15 anni) hanno riguardato 7 milioni e 144 mila persone (13,2%). Rispetto al 2012, si osserva una sostanziale stabilità nell’abitudine ad almeno un comportamento di consumo a rischio, in controtendenza rispetto alla diminuzione registrata nei due anni precedenti. Una lieve diminuzione nella quota del binge drinking si registra solo tra le donne (che passano dal 3,1% al 2,5%) e tra gli uomini di 45-64 anni (dal 9,9% all’8,1%).

Comportamenti a rischio più frequenti si osservano tra gli ultrasessantacinquenni (il 38,6% uomini e l’8,9% delle donne), tra i giovani di 18-24 anni (il 23% maschi e l’8,6% femmine) e tra gli adolescenti di 11-17 anni (rispettivamente l’11,7% e l’8,5%)».

Tali dati si limitano però ad esaminare il consumo degli alcolici sotto un profilo meramente quantitativo e non qualitativo, quest’ultimo probabilmente ancor più interessante rispetto al primo, specie in un Paese come il nostro, in cui sono presenti le più svariate top quality vinicole al mondo. Per gli appassionati del mondo enologico sarebbe molto interessante riuscire a circoscrivere l’analisi effettuata dall’Istat su quelli che sono i prodotti meramente enologici; a dire il vero nel corso del Vinitaly 2013 erano già stati resi noti i dati di un’indagine conoscitiva condotta su un campione di 3 mila visitatori dell’edizione precedente della manifestazione vinicola veronese.

«Il dato di maggior rilievo che emerge dall’indagine è certamente quello relativo alla riduzione generalizzata dei consumi principalmente dovuta alla entrata in vigore del nuovo codice della strada. Dall’indagine tuttavia emerge anche una interessante divisione generazionale e di genere del nostro Paese non solo per le modalità e per le tipologie di consumo ma anche per quanto riguarda le quantità consumate. Gli adulti infatti consumano più vino dei giovani. Gli uomini e le donne hanno diversi approcci all’uso di questa bevanda. In Italia il 44% degli uomini consuma vino tutti i giorni, mentre il 42% delle donne 3 volte alla settimana. Tra i 18 e i 25 anni il 45% degli uomini beve vino tre volte la settimana, mentre la maggior parte delle donne della stessa età (49,3%) solo una volta. Sia per gli uomini che per le donne è il fine settimana il periodo della settimana in cui si concentrano i maggiori consumi (principalmente in casa per gli uomini 47%, mentre per le donne prevale il consumo nei ristoranti e nei locali pubblici 67%). L’indagine è stata condotta su un campione di quasi 3.000 visitatori. Ad analizzare i risultati è stato chiamato il sociologo Costantino Cipolla curatore della guida de Le Soste e curatore di un volume di prossima uscita per i tipi di Francio Angeli intitolato “Il maestro di vino” che si occupa a tracciare i contorni di una nuova figura professionale che si sta affermando nel mondo dell’enogastronomia di qualità».

Sotto questo punto di vista, a coloro che si occupano in modo professionale di agricoltura e, nella fattispecie, di enologia è affidato un compito importantissimo, ossia quello di educare le future generazioni ad un’arte; sì perché bere bene, apprezzare i profumi, gli aromi e le sensazioni che solo un vino di qualità può dare è una vera e propria arte. Far passare la concezione di bere “poco ma meglio” sarebbe già un enorme passo in avanti; far conoscere tutte le realtà locali (un’infinità), giocare con l’abbinamento cibo-vino, far comprendere la diversità di sensazioni che scatena un rosso barricato, un bianco profumato oppure una buona bollicina. Investire sulle nostre eccellenze vinicole può indubbiamente portare a dei benefici sia immediati che di lungo termine al nostro apparato economico, che come sappiamo si basa sulle micro eccellenze territoriali: meno quantità per più qualità, offrendo i nostri prodotti sui nuovi mercati emergenti, specialmente su quello russo o arabo, dove i “magnati” sono disinteressati al prezzo d’acquisto e cercano solo qualità, vedendo nel Belpaese un punto di riferimento.

Educando in questa maniera le nuove generazioni, abituandole a non limitarsi ad una visione miopistica dell’economia, facendo passare il concetto che gli investimenti per il futuro, se ben congegnati, portano sempre a dei risultati favorevoli, si avranno dei risultati evidenti agli occhi persino dei più scettici; non mi stancherò mai dirlo e forse risulterò anche ripetitivo, ma il nostro Paese per tradizione, eccellenze, territorio, prodotti, cultura e chi più ne ha più ne metta, non è secondo a nessuno: sta a coloro che governano riuscire a sfruttare queste risorse per far acquisire all’Italia la posizione che merita sul mercato mondiale, e l’agricoltura è il settore primario dal quale ripartire.

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