“La teoria del tutto”, l’umanissima storia del prof. Hawking

Straziante, intenso film biografico

Gianluca Vivacqua
15/02/2015
Musica e spettacolo
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“Resterà sano solo il cervello, ma nessuno saprà mai che lo è”. Cambridge, anni ’60: in una corsia di ospedale un medico gela con questa diagnosi un giovane fisico in carriera, Stephen Hawking, ormai prossimo a dottorarsi. È il morbo di Lou Gehring (in realtà atrofia muscolare progressiva, ma si sarebbe capito solo dopo): la previsione di vita per lo studioso è di soli due anni a partire da allora. Hawking in quel momento non fa una piega: dopotutto, se il cervello resta sano, la sua vita, che in sostanza è tutta cerebrale, può andare avanti. Eppure, da quel maledetto giorno in cui le dita che già non rispondevano più  ai suoi comandi gli impedirono di afferrare nel modo giusto la tazza di caffè, e quindi di non macchiare i fogli con alcune esercitazioni, i peggioramenti si erano fatti sempre più evidenti, e con ritmo galoppante: con le inevitabili, strazianti conseguenze nella qualità della vita sociale, nell’autonomia dei movimenti anche più elementari, nelle facoltà locutorie. Una mente brillante in una gabbia corporale, e per di più in disfacimento. Costretto ad andare all’università camminando con ben due bastoni, uno per gamba, fino all’acquisto della prima sedia a rotelle: su di essa affronta le sue prime prove cattedratiche, i  primi confronti col mondo accademico riguardo alla sua teoria del tempo. Ormai è incapace di compiere anche un solo passo, e dove il transito è impedito alle sue rotelle ci pensa qualche amico a prenderselo tra le braccia come un vecchio Anchise (nonostante l’ancor giovane età) e a fargli guadare l’inguadabile. Insomma, non può stare un momento da solo: eppure  proprio in quel preciso  momento in cui la moglie Jane (conosciuta nell’ambiente universitario, of course) si allontana da lui per accorrere alle grida del figlioletto, proprio in quell’unica, brevissima parentesi di solitudine, guardando il camino tra le trame di un golf che non riesce a sfilarsi, egli intuisce la teoria del big bang. Poi arriva la sedia a rotelle elettrica, e l’illusione di una maggiore autonomia di mobilità: allora le cose sembrano volgere ad una maggiore tranquillità, e l’infaticabile e coraggiosa custode di Stephen, Jane, si decide persino ad assumere un’infermiera per il marito (dietro, però, c’è anche il suggerimento del padre di Stephen). Dietro l‘angolo, però, c’è il fulmine pronto a squassare il cielo sereno: Stephen ha un malore durante una sfavillante quanto disgraziata trasferta teatrale (la moglie non era al suo fianco), viene trasportato d’urgenza in ospedale, cade in coma e giunge ad un passo dalla morte. C’è una possibilità di salvarlo, ancora una volta?, chiede Jane immediatamente precipitatasi al capezzale del suo uomo. Sì, gli dicono i  medici: gli si può praticare una tracheotomia d’urgenza e liberare le vie tracheali ostruite. Ma c’è un inconveniente non da poco: perderà per sempre la parola. Fiat, si limita a replicare Jane convinta, esattamente come Stephen, che finché il cervello del marito funzionerà, la sua vita non sarà vissuta invano, per quanto possa essere fisicamente sacrificata e mortificata. Da quel momento ci sarà un convertitore vocale al fianco del professore, pronto a tradurre, in una voce elettronica simil-umana, tutti i suoi impulsi espressivi verbali; da quel momento inizierà la fase “pop” della biografia di Hawking, destinato, proprio in virtù dei suoi connotati “iconici” ormai divenuti inconfondibili, a diventare per la fisica ciò che è Gandhi per il pacifismo o Ray Charles per la musica. E la vita nonostante una condizione  di non vita, finché la presenza intellettuale e di pensiero regge, si rivela una scommessa vinta: ritrovata la voce, pur se artificialmente (ma anche senza tracheotomia avrebbe  ugualmente smesso di parlare), Hawking ritrova anche la voglia di trasmettere la sua scienza e le sue teorie, e scrive i suoi bestseller, “dettandoli” attraverso la sua protesi vocale. Che lo rende anche un ineguagliabile conferenziere: “Noi siamo tutti diversi, e per quanto brutta possa sembrarci la vita, c’è sempre qualcosa che ognuno può fare con successo”. Come diventare il vero unico erede riconosciuto di Newton e Einstein, pur inchiodato su una sedia a rotelle, simile a un Laocoonte costretto a stare avvolto per sempre  tra le spire del mostro che lo stritola; o come fare tre bellissimi figli, ed essere un padre a cui, per essere normale, manca solo di poter alzarsi in piedi. Non male, comunque, per uno a cui, al massimo, davano due anni di vita dall’insorgere della sua condizione “speciale”. Tutto ciò che è raccontato, benissimo, nell'intenso film di James Marsh, che vede come protagonisti gli straordinari Eddie Redmayne e Felicity Jones, era già stato raccontato nella biografia di Hawking scritta dall'ormai ex moglie del fisico, Jane Wilde, la donna a cui comunque il professore deve tutto. Da essa è tratta la pellicola meritatamente in corsa per cinque Oscar.   

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