«Mio marito lo riconoscevo, quando tornava a casa, solo dal sorriso: una macchia bianca su uno sfondo nero»

Una poesia per ricordare la tragedia di Marcinelle

Alessio Di Florio
09/08/2023
Italia
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Marcinelle, città belga il cui nome è rimasto legato alla terribile tragedia dell’8 agosto 1956. L’incendio nella miniera di carbone Bois du Cazier uccise 262 minatori. Una tragedia del lavoro e, allo stesso tempo dell’emigrazione: 136 degli operai morti erano italiani. 

La regione italiana più colpita fu l’Abruzzo, ben 60 dei morti italiani venivano dalla regione adriatica. «In praticamente ogni paese d’Abruzzo, negli occhi di molti anziani, c’è ancora un fantasma, un nome lontano, Marcinelle – ha ricordato nell’anniversario della tragedia la pagina facebook “L’Abruzzese fuori sede”, voce della cultura popolare e della terra di Silone, Flaiano e D’Annunzio - Chi ci teneva un parente, chi è rivenuto ma poi la silicosi, chi c’era e chi ci torna ogni sera con la mente, stasera in particolare». 

«Manoppello (23 persone), Casoli, Lettomanoppello, Turrivalignani, Farindola, Pianella, Rosciano, Roccascalegna, Palombaro, Castel del Monte e altri ancora: dalla Majella al Belgio per cercare un futuro; dalla Majella al Belgio per trovare una morte terribile, senza il conforto del cielo» scrive Gino Bucci (l’ideatore e curatore della pagina) nel suo post di ricordo di quella terribile tragedia. Riportando la testimonianza di Carmela, che oggi a 101 anni vive ad Ortona e nel 1956 «stava in Belgio con il marito, il quale qualche anno prima - come tanti altri - era partito per fare il minatore e aveva trovato lavoro in una miniera non lontana da quella di Marcinelle. A lu Belge - si diceva - sotto terra ci sta il pane. E per il pane si faceva di tutto; ci si affidava, si partiva e si iniziava a scavare in una terra lontana, finché non finiva la terra, o il sole». «Mio marito lo riconoscevo, quando tornava a casa, solo dal sorriso: una macchia bianca su uno sfondo nero» il ricordo delle condizioni di lavoro del marito che Carmela ha raccontato a Gino Bucci.

L’Abruzzese fuori sede ha affidato il ricordo  della tragedia passata alla storia come la più drammatica dell’emigrazione italiana, e abruzzese in particolare, a questa poesia, autore Giovanni Ricci:

Jamme bbelle, jamme mo,

jamme fratelle, jamme tutte a Marcinelle,

jammecene a lu Bbelge,

accuscje fenème a patì la fame. 

(…)

Quanda sacrificje aveme fatte,

quanda speranze dentra a lu core,

aveme lassate lu mare e le muntagne

ppè la speranze de nu guadagne.

Ppò de colpe la ggente strille,

jesce lu fume, gne le faville;

jè provela nere gne la pece

che tta cchiude l’occhie e lu rispire…

“Jamme ommene, jamme, accurrete,

ce sta la ggente sotte a lu tunnelle;

cale a bballe, valle a jutà”.

“Ma… ca succèsse, che je ste pazzetà!”

Esce cacchedùne,

tene la facce di carevune.

Tante lu sangue e attorne la morte,

le femmene aspette chi nen ha risorte,

chi ha lassate 'sta vita bbelle 

e nen rètorne cchiù da Marcinelle

 

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