Reddito di cittadinanza vs reddito di inclusione

I punti di contatto dei gemelli diversi

Gianluca Vivacqua
06/10/2018
Attualità
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Ci siamo.

O dovremmo esserci: da marzo 2019 scatterà l’ora del reddito di cittadinanza  e, in parallelo, della pensione di cittadinanza. La bandiera della rivoluzione grillina, un provvedimento che – dice guidafisco.it, un sito specializzato – darà  finalmente una forma concreta al grande progetto dei 5S, in cantiere dal 2013:  fornire un aiuto economico efficace ai circa 9 milioni di  italiani che si trovano in prossimità o al sotto della soglia di sopravvivenza.

Ma si tratta proprio della misura che i grillini della prima ora sognavano, o è un magnifico sogno “riveduto e corretto” quello che sta per essere varato? Più di un opinionista negli ultimi tre mesi (più o meno da quando il governo gialloverde si è insediato) ha osservato che il reddito di cittadinanza sarebbe privo di significato, qualora dovesse essere un doppione del reddito di inclusione. Eppure è proprio questo, allo stato attuale delle cose, che il cavallo di battaglia pentastellato rischia di fare:  sovrapporsi ad uno strumento di assistenza che è operativo dal dicembre 2017 e nasce dalla sinergia governo-Inps. Tant’è che, in base alle ultime notizie, l’orientamento sarebbe proprio quello di assorbire il reddito di inclusione in quello di cittadinanza.

Quello che, nell’utopia del M5S di opposizione, doveva essere un indiscriminato e incondizionato sostegno finanziario a tutti i disoccupati, giovani o meno, che avevano il diritto di non sentirsi un peso per la società, ora, per le nuove esigenze strategiche del M5S di governo, si trova ad essere notevolmente ridimensionato da una serie di paletti. Risultato: probabilmente la vera differenza rispetto al suo predecessore erogato dalla Previdenza Sociale sta nella diluizione temporale, che sarà di tre anni rispetto ai 18 mesi, previsti dalla misura nata dall’asse tra palazzo Chigi (quello dei tempi di Gentiloni) e via Ciro il Grande.Tuttavia, in caso di assoluta ncessità, a quei 18 mesi possono aggiungersene altri 12.

Per il resto, proprio come quello di inclusione, sarà un reddito di natura perlopiù integrativa, rivolto tanto alle famiglie in difficoltà quanto ai disoccupati singoli, e vincolato a requisiti: varrà, cioè, a rimpinguare stipendi, ma anche pensioni, vicini alla soglia di povertà, con importi variabili in base alle effettive esigenze dei beneficiari. Il reddito di inclusione prevedeva stanziamenti mensili, in favore di target individuati da parametri ISEE e ISRE, che andavano dai 187 ai 539 euro, così da garantire entrate annue comprese tra i 2250 euro a beneficio delle famiglie costituite da una sola persona e i 6477 euro per i gruppi familiari composti da più di sei persone.

Tabella ripresa da www.inps.it

 

Nel reddito di cittadinanza, invece, si prendono come somma di riferimento i 780 euro mensili, che l’Istat ha stabilito essere il confine ultimo tra povertà e non povertà. Lo scopo della misura grillina è proprio quello di integrare i casi di emergenza in modo tale da far raggiungere, mensilmente, il tetto dei 780 ai  disoccupati o sottopagati che vivono da soli o fanno parte di un gruppo familiare e hanno figli a carico. Ovviamente, ci saranno casi in cui non si tratterà solo di aggiungere qualcosa ad un’entrata già presente, per quanto piccola, ma si dovrà piuttosto costruire o ricostruire di sana pianta un introito.

Nello specifico, come si può leggere su guidafisco.it, se in una famiglia di tre persone la madre e il padre sono disoccupati e devono mantenere un figlio maggiorenne , entrambi hanno diritto all’erogazione piena (780 euro a testa), per un totale di 1560 euro mensili. Nel caso, invece, di una famiglia di due persone, entrambe le quali godono di una pensione di 400 euro al mese, l’integrazione sarà pari a 380 euro, cioè quanto manca per toccare quota 780.

Come quello di inclusione, anche il reddito di cittadinanza sarà erogato su una carta apposita, tracciabile. E, proprio come quello dell’Inps,  implica inoltre l’obbligo, per l’assegnatario che sia disoccupato, di farsi parte attiva in progetti di reinserimento lavorativo, pena la revoca del beneficio. In particolare l’assegnatario, nel corso dei tre anni di erogazione, si vedrà proporre tre opportunità di lavoro: dovrà, quindi, essere fortunato a trovarne una che gli cambi la vita, altrimenti, al termine del triennio, praticamente tornerà punto e a capo.

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