"Famiglia all’improvviso": la formazione di un papà a propria insaputa

Un drammatico Omar Sy al cinema

Gianluca Vivacqua
03/05/2017
Musica e spettacolo
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Per alcuni Omar Sy è l’erede europeo di Eddie Murphy: stessa vivacità da  irresistibile scapestrato, stessa contagiosa allegria, stesso incrollabile senso positivo della vita.

Questa analogia si è rafforzata dopo che l’attore ha interpretato lo sbirro Ousmane Diakhité, che a molti ha ricordato il mitico Axel Foley. In realtà, però, se l’artista afro-francese è simpatico almeno quanto l’illustre collega afro-americano, in un certo senso è anche più profondo di lui. Questo perché, fino ad ora,  nei ruoli che lo hanno consacrato al botteghino Sy ha costantemente dovuto convivere con un doppio volto: quello del geniale (e brillante) commediante della vita, tutto sorrisi scoppiettanti e trovate esplosive, dirimpetto al quale sta quello dell’uomo proveniente da realtà sociali difficili, degradate, o da situazioni personali tutt’altro che allegre.  Si dirà: anche Eddie Murphy talvolta ha portato sullo schermo personaggi in cerca di riscatto sociale.

Certo, non c’è dubbio; ma c’è una differenza, , e questa differenza probabilmente la fa il contesto, meglio ancora il sapore contestuale: in molto cinema hollywoodiano, in fondo, manca quel senso genuino, poetico, dell’umanità e dell’intimismo che è tipico del cinema francese di maggior qualità. Un volto di caratura hollywoodiana (già noto nell’ambiente, tra l’altro, con alcune incursioni) che sa muoversi con eleganza nei ritmi garbati, pensosi, velatamente malinconici della cinematografia transalpina: questo è stato Omar Sy di Quasi amici,  così come in Due agenti molto speciali, e questo è, senza deroghe, anche in Famiglia all’improvviso - Istruzioni non incluse

Dall’ex galeotto con una numerosa famiglia a carico di Quasi amici al topo dei sobborghi di Due agenti molto speciali, passato dalla vita fianco a fianco col crimine alla lotta contro di esso; fino ad arrivare, in Famiglia all’improvviso, al motoscafista-animatore di un lido turistico francese, sfrenato animale notturno (con aspro disappunto della sua datrice di lavoro) sessualmente incontenibile.

Sempre sull’orlo del licenziamento, certo, ma, in fondo, mettere una toppa  con Samantha (Clémentine Célarié),  il principale che ha ormai da tempo esaurito la sua pazienza, sarebbe comunque un gioco. Il vero problema, per Samuel (così si chiama il personaggio di Sy), è ben più grosso e si presenta, quasi come una punizione del destino, all’indomani dell’ennesima notte di gozzoviglie sessuali: una bionda, conosciuta chissà quando (si chiama Kristin, ed è interpretata da Clémence Poésy), si presenta davanti alla sua barca con una bambina in mano.

È la tua, Samuel, sei tu il padre. Lui non fa in tempo a capacitarsi della situazione che la ragazza è già scappata, dopo essersi fatta prestare 20 euro per un taxi. Che dovrà portarla all’aeroporto, dove l’attende un volo per Londra: ma questo Samuel lo scoprirà solo più tardi, dopo aver approfittato della disponibilità delle due escort (!) che si era portato a letto per dare un primissimo ristoro alla povera creatura. Individuata la ragazza su Facebook, Samuel, che proprio non sa che pesci prendere con una bambina a carico, pensa bene di andare oltre-Manica perché gli preme restituire quel tenero ingombro alla donna, che lavora in un pub della capitale britannica.

Così almeno sembrerebbe, secondo i dati del social network bianco-azzurro: ma in realtà in quel pub nessuno sembra averla mai vista, forse perché la foto è molto vecchia o magari perché è taroccata. Pazienza, allora: si torna a casa? Neanche per idea: per Samantha, Samuel ha colmato la misura con quel suo improvviso viaggio in Inghilterra, e decide, una volta per tutte, di licenziarlo, al telefono. Povero Samuel, che aveva telefonato al suo principale per chiedere un aiuto, visto che, scelleratamente, aveva perso tutti i suoi soldi e i suoi documenti in metropolitana: bloccato in un paese straniero, in cui oltretutto è isolato dall’incomunicabilità (non spiaccica una parola d’inglese), e nello stesso tempo tagliato fuori dal suo mondo e dalla sua vita precedenti, solo con quella bambina sconosciuta in braccio, egli non può fare altro che disperare della sua sorte, mentre fuori dalla stazione della metro (dove era tornato per cercare di recuperare il recuperabile), una pioggia scrosciante, improvvisa come i rivolgimenti della sua fortuna, condisce una giornata uggiosa.

Ma stiamo parlando proprio di Samuel? In realtà qualsiasi altra persona si sarebbe rassegnata di fronte a questo scenario, ma non lui, abituato, fino da piccolo, a superare la paura di saltare nel vuoto: e poi, non è vero che non sa dove andare, un posto dove ricoverarsi con la bambina ci sarebbe, ed è la casa di Bernie (Antoine Bertrand), un produttore cinematografico (gay) che, nella stazione metro, ha (provvidenzialmente) notato le doti acrobatiche di Samuel, capace di scivolare a rotta di collo sul corrimano della scala mobile per recuperare la sua piccola, da lui abbandonata all’inizio della salita. Lui, Bernie, avrebbe voluto scritturare da subito Samuel come stunt-man; questi, però, all’inizio, non aveva voluto saperne ("Ma che, scherziamo? Sono venuto a Londra per tutt’altro!"), ma non aveva fatto i conti col destino. Sicché il lavoro di stunt-man diventa il nuovo lavoro di Samuel e la sua nuova casa diventa quella di Bernie, per otto lunghi anni: alla bambina, che si chiama Gloria (e che, da un certo punto, verrà interpretata da Gloria Colston), il produttore farà praticamente da madre, affiancandosi al padre.  Coppia di fatto, anche oltre le effettive intenzioni di Samuel. Ma al di là di tutto, i due fanno un buon lavoro: la bambina cresce sana, educata, felice e piena di vita.

Da un certo periodo in poi, comunque, Samuel, anche grazie ai guadagni ottenuti da controfigura, riesce a metter su casa da solo con Gloria, a cui costruisce un’incantevole dimora a misura della sua fantasia: in questa reggia, però, ogni tanto ella non manca di aver nostalgia della mamma, e così il paparino deve inventarsi storie fantastiche su di lei, per giustificare la lunga attesa. Ma il giorno della ricomparsa  prima o poi verrà, e sarà un altro brutto giorno per Samuel: inizierà, infatti, una dura lotta in tribunale per assicurarsi la custodia della bambina, e lei perderà un po’ della sua serenità. O meglio, avrebbe potuto perderla, se al suo fianco non ci fosse stato uno come Samuel. La miglior persona  che certamente potesse capitare nella sua vita, e pazienza se poi, alla fine, biologicamente potrebbe perfino… non essere suo padre! Che quella confusionaria e svergognata di Kristin, dopo otto lunghi anni, si sia resa conto di essersi sbagliata?

Ma a noi ciò che interessa è altro: ed è la forza del cambiamento in positivo che può dare una responsabilità che ci vede protagonisti. Da libertino inaffidabile e donnaiolo Samuel si trasforma in una figura paterna carismatica e nello stesso tempo amabilissima, solo perché ha creduto di essere diventato veramente papà. Cioè di aver avuto una svolta rivoluzionaria – e irreversibile – nella sua vita. Dal punto di vista motivazionale, dunque, questo film ci dà una lezione importante: un cambiamento ci deve coinvolgere (e sconvolgere) direttamente, in prima persona, perché solo sentendolo come responsabilità diretta (anche al di là dei lati oggettivi) ci consentirà di maturare quella reazione in grado di trasformarci e farci svoltare. Poi, certo, presupposti psicologici e temperamentali come quelli di Samuel certamente aiutano nella svolta.

Dal punto di vista più strettamente cinematografico, infine, segnaliamo altri due elementi. La scena rocambolesca in cui Samuel recupera la figlia nella metro di Londra ricorda alla lontana quella della stazione ferroviaria nel film Gli intoccabili di Brian De Palma (titolo originale The Untouchables, che curiosamente suona molto simile a Intouchables, titolo originale di Quasi amici).  E, proprio a proposito di Eddie Murphy, non possiamo non notare che nel corso del film viene citato. Più precisamente nella scena in cui la madre di Kristin, finalmente ricomparsa a Londra, dice alla figlia di aver conosciuto l’attore nel corso di uno dei suoi tanti fantastici viaggi. La bambina, però, proprio non sa chi sia, e allora deve intervenire il buon Samuel a suggerirle che altri non è che la voce di Ciuchino in Shrek.

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