"Governo non eletto dal popolo": giusto o sbagliato?

Una riflessione nata da una serie di commenti pubblici su Facebook

Federico Garcia
13/12/2016
Politica
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Sicuramente quasi tutti coloro che usano le pagine social dei quotidiani per informarsi avranno avuto modo di leggere dello sfogo pubblico del professor Guido Saraceni, giovane docente di filosofia del diritto presso l’Università di Teramo, pubblicato dallo stesso su Facebook e rilanciato da diversi quotidiani poco dopo l’assegnazione dell’incarico di formazione del governo a Paolo Gentiloni. Il docente, distintosi già in passato per la propria capacità di sarcastica sintesi con post dello stesso tenore (la celebre bufala dei post “anti-violazione privacy” postati dagli utenti contro Facebook nel 2014), ha commentato la pochezza di informazione giuridica tra gli utenti, dedicando ai suoi studenti il seguente post:

Avviso agli studenti di Diritto Costituzionale
Chi tra di voi avesse pubblicato sulla propria bacheca la frase "un altro Presidente del Consiglio non eletto dal popolo" - o altre aberrazioni equivalenti - è pregato di chiudere per sempre l'account Facebook, onde evitare di cagionare danni a cose o persone, di abbandonare la Facoltà di Giurisprudenza e iscriversi a Scienze delle Piadine al Prosciutto presso l'Università della Vita.
Andiamo male, ragazzi. Molto, molto male.

Tuttavia, questa volta, lo sfogo ha toccato quella che appare come una questione di non facile soluzione nella politica italiana, ovverosia i limiti del potere decisionale del corpo elettorale attivo, un argomento che si trascina dai tempi dell’approvazione del primo sistema elettorale maggioritario in Italia con il Mattarellum nel 1993, e passato indenne attraverso tutti i tentativi di riforma costituzionale recenti, dalla Bicamerale di D’Alema al DdL Boschi bocciato appena dieci giorni fa dal referendum.

Così, Agostino Monteferrante, delegato abruzzese dell’Assemblea nazionale del Partito Democratico nonché sostenitore del No referendario, si è sentito in diritto di replicare, postando, attraverso la pagina Facebook di “La Repubblica”, il seguente commento:

Quarto governo non eletto e fini giuristi in campo.
Se la questione fosse giuridica tutti promossi (ci mancava solo il professore a bacchettare gli studenti). La questione non è giuridica ma politica e qui casca l'asino, ed anche il professore. È vero o no che da almeno vent'anni si indica il presidente del consiglio per ogni coalizione? Prodi, Veltroni, Rutelli, Bersani da una parte. Dall'altra Berlusconi, Berlusconi, Berlusconi.... È vero o no che otre le votazioni previste dalle leggi ci siamo sbizzarriti anche a fare le primarie? Eravamo impazziti? No. Tutti ritenevano che fosse necessaria una legittimazione popolare per diventare primo ministro e questo nonostante non fosse previsto da nessuna legge. Adesso entrano in campo i sapienti "il primo ministro non è eletto dal popolo ma indicato dal capo dello Stato ecc. ecc.). E lo sanno tutti, anche quei milioni di cittadini chiamati di volta in volta a votare alle primarie e a versare 2 euro. Certo che non lo eleggevano il primo ministro ma lo indicavano. Per questo si può dire, politicamente, che siamo al quarto governo non votato dal popolo. Ed il popolo non ha bisogno di fare esami di giurisprudenza per votare.

Al momento, il commento ha superato gli 800 “mi piace” sul social.

Comunque, indipendentemente dalla fenomenologia di internet, episodi come questo riaccendono una parte rilevante del dibattito referendario da poco terminato: il “popolo” è sempre il miglior giudice delle decisioni politiche di un paese? Durante la campagna referendaria si è assistito, indipendentemente ai meriti del Si e del No, a due “aberrazioni” nell’interpretazione della volontà del corpo elettorale: mentre Renzi ed i suoi avrebbero voluto far passare il consenso positivo al quesito referendario come un’affermazione plebiscitaria di tutte le politiche portate avanti dal proprio governo in due anni e mezzo, concernenti anche campi alieni al dettato costituzionale; dall’altro il fronte del No ha avuto la pretesa di voler mettere insieme sensibilità e storie politiche completamente diverse sotto la stessa bandiera, chiamando “volontà popolare” quello che è stato poco più che un calcolo politicistico, volontariamente ignorando il fatto che molti aspetti del DdL Boschi potessero essere alternativamente condivisi da destra e da sinistra. In questo clima, iniziative come quelle dei Radicali, che avevano proposto lo spacchettamento del referendum in quattro quesiti separati, sarebbero state le benvenute, consentendo alla cittadinanza di decidere liberamente cosa approvare del nuovo dettato e cosa invece respingere (e probabilmente anche a Renzi di salvarsi), ma esse sono state rigettate con sdegno sia dal governo che dalla Corte di Cassazione, profilando un ulteriore rinvio della discussione sulle reali facoltà politiche della cittadinanza, che continua ad essere chiamata in causa solo dopo la data di proclamazione delle elezioni.

In conclusione, gli argomenti posti in campo sull’opportunità di una nomina popolare del Presidente del consiglio conducono ad un sostanziale pareggio. Se da una parte esistono nuove forme di comunicazione che consentono alle persone di formarsi un’opinione individuale sulle capacità di un politico, è pur vero che l’ultima forma di democrazia diretta vera e propria ci fu ad Atene 2500 anni fa, motivo per cui esistono “corpi intermedi” come istituzioni e partiti politici, che hanno il compito di mediare istanze e concezioni diverse del mondo in una comune per tutti (od alcune, nel caso dei partiti). In questo quadro, scuole ed università hanno un compito cruciale di affinazione e trasmissione delle conoscenze, ma anche la responsabilità di aprire il dibattito a tutti, senza arrogarsi posizioni di privilegio, semplificandolo ma non banalizzandolo, affinché tutti possano accedere al meglio delle loro possibilità materiali e culturali alle scelte del paese, questo davvero nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana.

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