Ore 1.32 italiane di mercoledì 27 luglio 2016 (le 19.00 negli Usa).
Filadelfia (Pennsylvania), seconda giornata della convention del partito democratico: Hillary Clinton diventa ufficialmente la prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Proclamata finalmente vincitrice della lunga corsa delle primarie, anzi acclamata: e l’applauso più fragoroso è venuto da colui che fino a ieri era stato il rivale più implacabile, Bernie Sanders (anche se i suoi seguaci continuano a non rassegnarsi alla candidatura clintoniana, e pochi minuti dopo l’intervento dell’ex segretario di Stato, hanno occupato per un po’ di tempo la sala stampa del Wells Fargo Center teatro della sua “incoronazione”).
E mentre lei parlava, si riavvolgeva il film della vita dell’ambiziosa avvocata di Chicago, sposata dal 1975 con Bill Clinton, che due anni prima, dopo un lungo tirocinio politico presso confraternite studentesche e come assistente di parlamentari, era entrato nel partito democratico. Del marito lei, già quotatissima come consulente legale delle più importanti società d’America - ma conosciuta anche negli ambienti progressisti se non altro per aver fatto parte dello staff d’inchiesta sull’impeachment ai danni di Nixon - avrebbe seguito tutte le tappe di una brillante carriera di statista, da governatore dell’Arkansas a più riprese (la prima volta nel 1979-81 e poi ancora per un periodo lunghissimo, 1983-92) fino a Washington, alla Casa Bianca, soffiata in modo per molti versi inaspettato ad un Bush II (Bush padre, naturalmente).
Ed eccola lì, al fianco del consorte, nei momenti esaltanti (la questione mediorientale ad un pelo dalla svolta, nel 1994) e in quelli più bui (i primi veri attentati di al-Qaida nell’estate del ’98 e naturalmente la pagina scurissima del sexygate), già meditando, in cuor suo, il momento in cui sarebbe gli sarebbe succeduta. Ed è stato proprio l’ex presidente a concludere la trionfale serata, lasciando un messaggio col cuore in mano: ”Hillary ci renderà più forti. Lo so perché ha trascorso la vita a farlo con me. Lei vuole sempre alzare l’asticella”.
Quel momento, dice la storia, è arrivato, proprio oggi.
Prima donna: un destino segnato nella storia di Iron Hillary. Prima donna in quanto First Lady negli otto lunghi anni di presidenza del marito; e ora prima donna in senso assoluto a vedere all’orizzonte la conquista del n. 1600 di Pennsylvania Avenue, il che le consentirebbe, il prossimo novembre, di essere la prima donna commander in Chief d’America. Niente da invidiare a Geena Davis: oltretutto, lei alla Casa Bianca è davvero di casa.
Nel suo percorso Hillary dice di rivedere il “sogno di molte bambine americane”: di sicuro la sua narrazione è del tutto diversa da quella di Donald Trump, che in questo momento è impegnato a fugare i sospetti di combine con Mosca. “Per la cronaca, ho zero investimenti in Russia”, ha risposto su Twitter a quanti sospettano che Putin e il Cremlino siano entrati a gamba tesa, e in suo favore, nella partita delle presidenziali. Ma per alcuni giornali, come il New York Times, il problema non sono tanto gli investimenti che Trump potrebbe avere in Russia, quanto i fianziamenti che egli starebbe ricevendo da oligarchi putiniani.